Clara Bartolini
L'arte come processo rituale, come associazioni Freudiane, come archetipi younghiani, come sacrificio sacro.
L'opera di Alfredo Romano mette lo spettatore davanti a una prova, farsi irretire da un'indagine introspettiva che travolge avvolgendo e non può lasciare indifferenti. Figlio irripetibile della sua terra, la Sicilia, e replica vivente di quella densità di memorie e stratificazioni che l'isola porta nel suo bagaglio geologico e culturale, divisa com'era in tre isole, zattere provenienti da sud nord e centro. C'è nelle sue opere il desiderio profondo di uno scavo, per giungere all'attimo primigenio nel quale si è formata la materia, mostrandone forza e fragilità.
Un lavoro tellurico di sprofondamento nel mistero e di ritorno dal proprio personale Ade, che è l'Ade di ogni essere vivente, quello visitato da Enea per conoscere passato e futuro col coraggio della visione che l'eroe Ulisse non ha avuto. Qui sulla terra nella tragicità degli eventi quotidiani, Romano lavora sul limite tra conscio e inconscio, cerca l'equilibrio su un filo che promette di portare lontano ma che mostra come il precipitare sia un rischio costante. Davanti ad una sua opera non pare esserci una via di fuga, bisogna riflettere davvero o lasciarsi andare completamente, senza temere il possibile naufragio. Impossibile restare spettatori.
Le sue opere interrogano, ed è la sua domanda la nostra domanda, fatta di oggetti replicati quasi all'infinito che diventano un' ossessione e quindi altro, che si mostrano fuggendo dal loro significato codificato, liberandosi dalla prigione del "sono questo" per entrare nella dimensione del "chi sono?". Gnothi seauton, conosci te stesso, era scritto in Grecia sul tempio di Apollo, tutto e tutti siamo fuoco e cenere allo stesso tempo, acqua e pietra, spirito e materia deperibile. Una cosa è certa, Romano lavora sullo sconfinamento, per uscire dai codici stretti ed entrare nel profondo, dove le fessure lasciano intravedere la luce in modo diverso, tragico e salvifico insieme. E se Kiefer sotterra spesso le sue tele perché dalla terra estraggano la potenza e la consumazione, Romano ci riporta la potenza usando ferro, feltro, cera, gesso, lino, oro, tela, nera e bianca, marmo, carbone, catrame, trasfigurandoli quanticamente, trovando il punto limite, la tensione di ogni elemento per giungere alla catarsi.
Quella di Alfredo Romano è una rigenerazione alchemica che esce dagli stereotipi e mostra la tragicità della vita, il suo mistero impenetrabile, la sua altezza spirituale. Le sue opere paiono frutto di una espiazione dell'essere, di una devozione all'esistenza che merita di essere indagata a fondo oltre che vissuta alla meglio, come fanno i più in un momento storico tanto discutibile come il mostro. Gli opposti sono tali solo all'apparenza, in realtà sono solo un cambio di luce. Luce a cui Romano è giustamente devoto come a una divinità. Perché è dalla luce che veniamo e all'ombra ritorniamo in un drammatico ciclo che l'artista ci mostra con la sapienza paziente di uno speleologo che non si stanca di ricercare negli anfratti dell'anima profonda il salvifico Santo Grall. Come Enea, Romano inizia il suo viaggio nell'Ade superando tutti i pericoli che l'entrarvi comporta.
Emblematica, per comprendere Alfredo Romano, la splendida installazione di tante madonne sdraiate in questa grande "grotta" scura, tutte portatrici di una luce nel grembo, posta nelll'Ipogeo di piazza Duomo ad Ortigia. nel 2005. Nulla di più travolgente e spirituale. E ancora, la sua più piccola installazione, una Madonna sublime che si sporge come un gargoyle da una parete lungo una strada del cento di Ortigia con lo sguardo rivolto al cielo.
Andatela a cercare se visitate questa perla del mediterraneo, ne vale la pena, per capire. E nero, tanto nero, per far desiderare spasmodicamente la luce. Phosforos, è il Dio greco che rappresenta Alfredo Romano, quella luce dell'alba che inizia lentamente ad illuminare le cose. Un mostrare misterioso fuori da ogni tempo, come l'essenza della vita che Romano cerca di rappresentare, senza tregua. Da Siracusa alla Biennale di Venezia, da Torino ad Atene, Erice e Madrid, Gibellina e Palermo ed in ogni luogo Romano porta nel buio una luce sempre uguale e sempre diversa, illuminante.
CLARA BARTOLINI
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