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San Carlo al Lazzaretto: tra recenti restauri e antiche memorie

San Carlo al Lazzaretto: tra recenti restauri e antiche memoriehttp://www.okarte.it
 
di Stefano Pariani
Quando Milano non era ancora capitale della moda, il quadrilatero evocava una realtà ben diversa da quella che oggi la parola richiama. Il grande quadrilatero era infatti il Lazzaretto, che sorgeva appena fuori le mura della città, a Porta Orientale, l'attuale Porta Venezia.  galleria fotografica
Milano mappa
 
Milano mappa  02/05/2018
Quando Milano non era ancora capitale della moda, il quadrilatero evocava una realtà ben diversa da quella che oggi la parola richiama. Il grande quadrilatero era infatti il Lazzaretto, che sorgeva appena fuori le mura della città, a Porta Orientale, l'attuale Porta Venezia. Oggi immaginare il drammatico scenario descritto nelle pagine dei “Promessi Sposi” in una zona completamente riqualificata verso la fine dell'Ottocento risulta difficile, tanti sono i palazzi, le strade, i negozi sorti nel tempo in un'area ad alta densità commerciale come quella di corso Buenos Aires.

Eppure qualcosa è rimasto e alcuni milanesi la ricordano ancora semplicemente come la chiesa del Lazzaretto: si tratta di San Carlo al Lazzaretto, un piccolo edificio che sorge in Largo Bellintani e spicca al centro dell'intersecarsi delle vie Lazzaretto e Lazzaro Palazzi. Oggi, dopo anni di incuria e abbandono, è tornato al suo splendore grazie a una serie di restauri iniziati nel 2015, che hanno coinvolto tanto l'edificio religioso quanto la piazzetta in cui si eleva, che, dopo il restyling, ha dato maggior rilievo alla piccola chiesa.

La costruzione del Lazzaretto risale al 1488 sotto la direzione di Lazzaro Palazzi, da cui prese il nome; il grande recinto, circondato da un fossato, era caratterizzato da un portico interno, su cui si affacciavano 288 celle dotate di camino e servizi, destinate all'isolamento e alla cura degli ammalati di peste. Al centro del recinto sorgeva la cappella di Santa Maria della Sanità e tutti i malati potevano assistere alla messa lì celebrata. Quasi un secolo dopo, a seguito della peste del 1576, l'arcivescovo Carlo Borromeo diede incarico a Pellegrino Tibaldi (1585) di costruire un nuovo edificio a pianta ottagonale con aperture a serliane su tutti i lati, in modo tale che le funzioni potessero essere sempre viste dagli appestati.

Successivamente l'edificio venne chiuso su tutti i lati e subì le alterne fortune della storia: con l'occupazione francese il Lazzaretto venne destinato a funzioni militari (1797) e la chiesa venne trasformata da Giuseppe Piermarini in Tempio della Patria. Nel corso dell'Ottocento il recinto del Lazzaretto fu adibito ad usi agricoli e venne abitato da contadini, artigiani e venditori ambulanti, per essere poi demolito definitivamente nella seconda metà del secolo, quando cominciò la costruzione dei palazzi ancor oggi visibili nell'intera area. Solo la chiesa e una minima porzione del recinto (oggi visibile in via San Gregorio) furono risparmiate. La chiesa venne ristrutturata e riaperta al culto nel 1884.

L'edificio che vediamo oggi, a seguito dei recentissimi restauri, restituisce un'immagine vivida della struttura originaria: all'esterno la pianta centrale ottagonale con semi-colonne e archi a tutto sesto è semplice e lineare e non è difficile immaginare come un tempo dovesse essere “leggera” senza la struttura in muratura che attualmente la chiude nel suo perimetro. La cupola e la lanterna, anch'esse ottagonali, presentano su ogni lato aperture a oculi, che filtrano la luce nell'edificio. La stessa geometrica armonia si respira in un interno semplice e privo di decorazioni pittoriche, dove è presente un giro di colonne e pilastri, che creano un piccolo deambulatorio.

La chiesa è aperta solo al mattino ed in particolari occasioni concertistiche; la sua visita, che oggi induce a momenti di raccolta meditazione, va “abbinata” ad un ricordo storico di Milano, cioè quel che resta del recinto del Lazzaretto. «S'immagini il lettore il recinto del lazzaretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutto ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; [...] e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi». Sulla scia di manzoniani ricordi la strada dalla chiesa a via San Gregorio è brevissima.

Quasi adiacente a Corso Buenos Aires, dove un tempo si estendeva, è ancora visibile una piccola porzione di quelle mura di pietà e dolore, da cui spuntano i camini in mattoni scoperti delle celle. Si può entrare liberamente ed ammirare con stupore i resti del grande porticato, un'elegante sequenza di archi a tutto sesto sorretti da snelle colonne e decorazioni in cotto della migliore tradizione rinascimentale lombarda. Sarà stata davvero la scelta migliore demolire (quasi) del tutto una parte della storia e dell'architettura di Milano, già spesso dimentica del suo passato? Noi ora possiamo solo ricordare e preservare quel che resta, perché non venga tutto dimenticato nella città dei boschi verticali e dei luccicanti grattacieli che puntano in alto.






 
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