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Carla Fracci, il mito della danza internazionale «Il mio ritorno alla Scala? Potrei dare molto ai giovani»

Francesca Bellola

La danza ha perso Carla Fracci. Nella mia ultima intervista a Il Giorno del 24 febbraio, mi era rimasta impressa la sua semplicità e l'eleganza nel descrivere una carriera da favola. Ci eravamo promesse di incontrarci alla Scala. Ed è proprio in questo Teatro da lei molto amato, che la vorrei ricordare.
L'intervista è pubblicata anche su Il Giorno
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Una carriera da favola. Istinto, passione, sfida, determinazione, eleganza, sono alcune delle caratteristiche di una delle più grandi ballerine di tutti i tempi. Carla Fracci, étoile internazionale di bianco vestita, milanese, simbolo di armonia e grazia, ha mosso i primi passi a soli 9 anni all'Accademia di danza del Teatro alla Scala per diventare il simbolo dell'eccellenza italiana nel mondo. Tutti i più grandi coreografi e divi: da Nureyev a Vassiliev, da Baryshnikov a Bruhn se la contendevano nei templi della danza a livello mondiale. Sono iniziate le riprese della divina “Carla”, il film tratto dalla autobiografia della Fracci “Passo dopo passo. La mia storia” che vede il suo ruolo interpretato da Alessandra Mastronardi.
 Di recente è stata invitata dal sovrintendente Dominique Meyer alla masterclass alla Scala per “Giselle”.
Com'è andata?
«Il tempo sembra non sia passato. Mi sono commossa nel rivedere i ballerini, gli insegnanti e tutte le maestranze che mi hanno accolto con un calore immenso. Ho fatto alcune osservazioni alla compagnia, ed ho corretto un po' le posizioni dei solisti. Devo ringraziare anche Manuel Legris, direttore del corpo di Ballo della Scala, una persona garbata, oltre che uno splendido ballerino».
Sogna di insegnare alla Scala?
«Mi manca quel palcoscenico che considero la mia casa. La gente ha pensato che io avessi litigato, ma non è così, ancora oggi mi chiedo il perchè della chiusura nei miei confronti. In questi lunghi anni di assenza avrei potuto dare molto ai giovani con un ruolo ben definito».
Come ha iniziato?
«Eravamo tornati a Milano dalla campagna di Volongo (Cremona), dove poi mi sono sposata. I miei genitori mi iscrissero alla scuola della Scala, all'epoca era gratuita. La maestra mi disse che ero gracile e sottile, però avevo un bel faccino».
Ha avuto una carriera costellata da incontri straordinari.
«Si, memorabili: da Roland Petit a Maurice Béjart, da JohnCranko che ha creato per me “Romeo e Giulietta”, a John Butler che ha prodotto “Medea”, l'elenco è interminabile».
E con Rudol'f Nureev. Un divo non facile...
«Competitivo mi metteva sempre alla prova, mi ha fortificato. Mi chiese di danzare con lui in “Lo Schiaccianoci”, mi fece imparare la sua difficile coreografia in soli 2 giorni. Ma fu un trionfo. E mi disse: “Hai visto cosa vuol dire aver coraggio!”».
Anche Charlie Chaplin era un suo fan...
«Avevo ballato nel secondo atto di “Giselle” con Vassiliev e Chaplin venne a vedermi. Il giorno dopo mi mandò una fotografia con la dedica “you are wonderfull”. Un gesto tenero che denota una sensibilità davvero speciale».
Ha affrontato anche un repertorio trasversale moderno in televisione.
«Ho lavorato con le gemelle Kessler, Rascel, poi con Carraro cantavo “La roeuda la gira” in milanese. Uno spasso».
Che consigli darebbe a una giovane ballerina?
«Di non avere fretta, ma lavorare molto con la propria personalità guardando e imparando dagli altri. La danza è un impegno gravoso e un dialogo incessante con la bellezza».
Courtesy "Il Giorno"
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