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A Monza il Fascino dell'Italia attraverso lo sguardo degli artisti stranieri

di Stefano Pariani

parianigalleria fotografica E' una mostra che ha una valenza particolare quella inaugurata il 23 aprile nella fastosa cornice della Villa Reale di Monza, perché nell'anno internazionale di Expo 2015, che vedrà Milano e l'Italia al centro dell'attenzione internazionale, si fa luce sul rapporto fra gli artisti stranieri e il Bel Paese e il fascino che il suo paesaggio e la sua arte hanno esercitato su di essi. Dal Seicento all'Ottocento, infatti, il viaggio in Italia, il cosiddetto Grand Tour, è stato un processo di formazione culturale per molti intellettuali ed occasione per ammirare non solo le vestigia di un glorioso passato, ma anche assaporare la bellezza e la varietà del paesaggio e del suo dolce clima. L'Italia non ha mancato di affascinare l'artista straniero anche negli anni complessi del Novecento e fino ai giorni nostri, con i suoi riti, le sue tradizioni, il folklore e i suoi richiami alla classicità. La mostra si articola in diverse sale riconducibili a quattro grandi sezioni: il Cinquecento, il mito dell'Italia nell'Europa del Seicento e del Settecento, il periodo che va dal Neoclassicismo al Simbolismo e infine la sezione dedicata all'ultimo Ottocento fino al Duemila, in un fitto dialogo tra pittura, scultura e fotografia che ruota attorno a circa 90 opere. Già nel Cinquecento si comincia a guardare all'Italia come maestra di grazia e di eleganza artistica (esemplare la “Eva” di Lucas Cranach del 1528) e, allo stesso tempo, come luogo della grandezza dell'antica Roma e di un glorioso passato. La caducità delle cose e delle imprese umane sono i principali tratti delle tele di Maarten van Heemskerck (“Paesaggio con San Girolamo”, 1547) e Herman Posthumus (“Paesaggio con rovine romane”, 1536). Nel corso del Seicento l'Italia non è visitata solo per i riferimenti all'arte e alla storia antica, ma anche per conoscere da vicino opere più “contemporanee”, come quelle dei maestri veneti cinquecenteschi, che colpiscono l'artista straniero per l'uso sapiente e vivace del colore. Pittore indiscusso in tal senso è Tiziano, di cui è esposto il “Ritratto di Ippolito de' Medici” (1532/34), affiancato dai grandi ritratti fiamminghi di Rubens (“Ritratto di Giovanna Spinola Pavese” 1604/08) e di van Dyck (“Ritratto di Geronima Adorno Brignole Sale”, 1627), entrambi tripudio di preziosismi coloristici ed eleganza di vesti. Il Seicento è anche il secolo di Caravaggio e la lezione del grande pittore che ritraeva personaggi tratti dal quotidiano e dalle strade non poteva non essere colta da chi visitava la nostra penisola. In mostra “La negazione di Pietro” nella versione di Valentin de Boulogne (1620) e di Theodor Rombouts (1625/30), con evidenti richiami a “I bari” di Caravaggio. E' tuttavia il paesaggio ad affascinare maggiormente tra Sei e Settecento e, quasi come “cartoline” ante litteram, gli stranieri in Italia realizzano magnifici souvenir su tele che si dilitano in senso orizzantale e panoramico. Sono gli anni dei grandi vedutisti: Claude Lorrain resta folgorato dalla calda luce che indora “Porto con Villa Medici” (1637), Gaspard Van Wittel realizza varie vedute di Venezia (“Il palazzo ducale di Venezia”, 1697), Roma e Napoli. In particolare è Napoli ad attirare i pittori nel Settecento, in concomitanza con la riscoperta di Ercolano e Pompei e la ripresa delle eruzioni del Vesuvio: lo spettacolare “Eruzione del Vesuvio dal porto della Maddalena” (1782) di Pierre-Jacques Volaire ne è un chiaro esempio.pariani Vi era anche un luogo caro agli stranieri tra Napoli e Pozzuoli, rappresentato dalla “Tomba di Virgilio al chiaro di luna” (1782) di Wright of Derby, dal sapore pre-romantico, che mostra l'interesse per i personaggi famosi dell'antichità. Su questa scia si pone anche l'”Elegia romana” (1791) di Jacques Henri Sablet, che mostra la contemplazione delle rovine e l'ammirazione per l'antico come riflessione sulla caducità delle cose. Nel Settecento neoclassico è il tedesco Mengs a farsi principale interprete del gusto equilibrato e del bello ideale della pittura italiana, vedendo in Raffaello un modello per eccellenza, mentre Correggio, di cui è esposta “Danae” (1530/31), viene visto come interprete della grazia con una vena più umana e sensuale. Molti saranno gli artisti a recarsi a Parma, la sua città, per studiarne le opere: tra questi Julien de Parme, di cui in mostra è presente “Amore in piedi mentre scaglia una freccia” (1762). Col passare degli anni pare mutare anche il modo di vedere l'Italia: nell'Ottocento, infatti, emerge la componente popolare e folklorica del nostro Paese, luogo per eccellenza della religione cattolica, terra di tradizioni, di riti immutabili e di belle donne, che sembrano richiamare agli occhi dello straniero i volti di tante Madonne dipinte nei secoli passati. La variopinta folla del popolo davanti a San Pietro pare colta dal vero nella monumentale tela “Benedizione Urbi et Orbi di papa Gregorio XVI” (1840) di Jean-Auguste Bard; una bellezza mediterranea mista a delicata compostezza traspare dal volto de “La Nanna” (1859), leggendaria popolana romana ritratta dal preraffaellita Frederic Leighton; una luminosa scena di laboriose contadine del Sud, scelta anche come immagine della locandina della mostra, domina invece con tutta la sua schiettezza “Souvenir d'Italie” (1849) di Jean-Léon Gérome. I nuovi linguaggi artistici tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo continuano a guardare all'arte italiana come fonte di ispirazione per la forma e l'armonia della linea. Michelangelo esercita la sua fascinazione su Rodin: la splendida posa plastica del nudo “L'età del bronzo” (1875/76) guarda da vicino i movimenti e le posture di certe sculture michelangiolesche, come “I prigioni”. Matisse con “Grande nudo seduto” (1922/29) riprende le pose della “Notte” e dell'”Aurora” delle tombe medicee di Michelangelo, ispirazione anche per Picasso, presente in mostra con il dipinto “Nudo disteso” (1932). Lo stesso Picasso, in visita a Roma e Napoli nel 1917, entra in contatto anche con l'arte classica antica, che del resto viene recuperata in Italia in quel “ritorno all'ordine” che si diffonde dopo la I Guerra Mondiale e che esalta l'antichità, il Rinascimento e il gusto dell'equilibrio. Di questo periodo è “Trois femme à la fontaine” (1921) dove l'artista spagnolo riprende l'affresco “Colloquio di donne”, proveniente da Ercolano. Nella carrellata che porta alle ultime opere esposte s'incontrano Yves Klein con “Monocromo in blu” (1956), sorta di citazione-omaggio del meraviglioso blu giottesco ad Assisi, Andy Warhol, che con “Falce e martello” in salsa pop del 1977 si dimostra interessato ai vivi dibattiti politici che attraversano l'Italia di quegli anni, per arrivare alle opere fotografiche, recentissime, di Marina Abramovic, che mette in relazione il corpo con gli scenari primitivi della Sicilia, memore, tra l'altro, di certa cinematografia italiana (Rossellini e il suo “Stromboli, terra di Dio”). La mostra, frutto di un lavoro lungo tre anni, è stata organizzata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e prodotta da Consorzio Villa Reale, Skira Editore e Cultura Domani e si avvale di prestiti di importanti enti pubblici e privati italiani, europei ed americani, tra cui il Louvre, il Musée d'Orsay, il Prado e l'Hermitage. Il percorso espositivo è snello e agile ed ogni sala è introdotta da brevi e chiari pannelli. Il catalogo della mostra è edito da Skira Editore. Il fascino e il mito dell'Italia. Dal Cinquecento al contemporaneo Dal 23 aprile al 6 settembre 2015 Villa Reale di Monza Viale Brianza, 1 Monza www.fascinoemito.it galleria fotografica

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