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Porta Venezia: breve itinerario nella Milano Liberty

di Stefano Pariani

libertygalleria fotografica La chiamavano Art Nouveau in Francia, Arte Floreale in Italia, Jugendstil in Germania, ma il nome che probabilmente a tutti è più famigliare per quell'arte che ha attraversato l'Europa a cavallo tra il XIX e il XX secolo è “stile Liberty”. Un'espressione artistica elegante e molto decorativa, che dall'architettura alla scultura, dalle vetrate agli arredi d'interni ha caratterizzato i brillanti e gioiosi anni della Belle Epoque.


Milano è senza dubbio una tappa importante del Liberty italiano; nei primi anni del Novecento la città era in piena espansione industriale e la borghesia si affermava, mostrando la propria influenza anche attraverso le eleganti dimore in cui risiedeva. Al pari di altre città europee - Parigi su tutte - anche Milano viveva i suoi anni spensierati e opulenti, poco prima degli avvenimenti bellici che avrebbero nel giro di qualche anno sconvolto l'Europa. In città sono disseminati in molte vie esempi più o meno notevoli di architettura liberty, ma Porta Venezia è probabilmente la zona che meglio di altre può vantare un elevato numero di palazzi liberty, tutti di una certa importanza.

Volendo tracciare un breve itinerario nella centralissima zona, Corso Venezia è senza dubbio il punto di partenza, perchè qui si trova Palazzo Castiglioni, una sorta di “manifesto” dell'Art Nouveau a Milano. Fu costruito da Giuseppe Sommaruga tra il 1901 e il 1904 su commissione dell'impreditore Ermenegildo Castiglioni, che volle un palazzo degno della propria grandezza in una delle vie più “nobili” della città, ricca di palazzi neoclassici. Scelta ambiziosa, che tuttavia non ebbe un riscontro positivo da parte dei milanesi, vuoi per lo stile inconsueto, vuoi per due figure femminili nude poste sopra il portale d'ingresso, che mostravano le natiche ai passanti. Che senso avevano? Non erano cariatidi, non avevano una funzione simbolica e soprattutto erano provocanti e nude. Il palazzo venne presto ribattezzato ironicamente dal popolo “Ca' di ciapp” e le statue vennero rimosse. Quel che vediamo ancora oggi è un imponente palazzo a tre piani con alte finestre e decorato con festosi putti e compatti intrecci vegetali. Il senso di solidità che trasmette si rafforza al pian terreno dove si trova una serie di grandi aperture circolari con spesso ferro battuto aggrovigliato. Al suo interno un grande scalone a doppia rampa con balaustra elegantemente decorata in ferro battuto intrecciato e la sala dei Pavoni, con stucchi e particolari del soffitto che riproducono gli animali che danno il nome alla sala stessa.

Pochi metri e da corso Venezia si arriva in piazza Oberdan, dove sulla parte destra, in via Malpighi, si erge uno tra i più variopinti palazzi liberty di Milano, Casa Galimberti. Se l'imponenza caratterizza Palazzo Castiglioni, qui sono invece la leggerezza e il colore a dare le loro note a questo palazzo, realizzato tra il 1903 e il 1905 da Giovanni Battista Bossi secondo una struttura architettonica piuttosto sobria. La facciata è rivestita di piastrelle in ceramica interamente dipinte: al primo piano troviamo formose figure femminili (qualcuna maschile), per lo più discinte, atteggiate in varie pose e contornate da intrecci vegetali. Tutte si stagliano su di uno sfondo dorato, come negli antichi mosaici medievali, sono abbigliate con vaporosi vestiti dell'epoca e hanno acconciature alla moda. Nei piani più alti il soggetto femminile viene sostituito da sinuosi ed alti alberi e piante che incorniciano le finestre e sembrano formare un tutt'uno con l'elegante ferro battuto fitomorfo dei balconi.

Quasi di fronte a casa Galimberti, l'hotel Diana Majestic, ancora oggi uno degli hotel più esclusivi della città, rappresenta un pezzo di storia della Milano che non c'è più. Inaugurato nel 1908 su progetto di Achille Manfredini, il Kursaal Diana - così si chiamava - andò a sostituire la prima piscina pubblica d'Italia, nata nel 1842 col nome di Bagni di Diana e frequentatissima per la sua enorme vasca e le sue 120 cabine utilizzate come bagni pubblici. Il Kursaal si propose, oltre che come lussuoso hotel, come una delle strutture più all'avanguardia della stagione della Belle Epoque milanese con il suo ristorante, il grande giardino, la sala da ballo, il teatro per il varietà e le operette e lo sferisterio per il gioco della pelota. Il clima di svago e di festa venne però brutalmente interrotto nel 1921 da un attentato dinamitardo di matrice anarchica che provocò 80 feriti e 21 morti durante una manifestazione teatrale. L'edificio fu restaurato nel 1922 e ancora oggi, in mezzo al distratto traffico cittadino, rimane con il suo fascino tutto europeo a testimoniare un'epoca d'oro che si godeva il presente, guardando con disinvolta fiducia al futuro.


Per ammirare un altro dei migliori esempi del Liberty milanese occorre spostarsi in via Bellini dove troviamo Casa Campanini, edificata tra il 1904 e il 1906 da Alfredo Campanini come sua stessa residenza. Sulla facciata, decorata sobriamente con mascheroni e intrecci vegetali, colpiscono due monumentali e trasognanti figure femminili ai lati del portone d'ingresso, contornate da piante, e l'elegante sinuosità del cancello d'ingresso in ferro battuto con i soliti motivi floreali attorcigliati. Nell'atrio si possono ancora vedere i vetri policromi, un lampadario in ferro battuto e il soffitto decorato con mazzi di ciliegie rosse.

Spondandosi di poco, il nostro breve itinerario può concludersi in via Cappuccini, dove si erge Casa Berri Meregalli, realizzata da Giulio Ulisse Arata tra il 1911 e il 1913. Il massiccio palazzo, architettonicamente molto articolato, unisce il gusto liberty all'eclettismo e da molti viene considerato come l'ultimo esempio dell'architettura liberty milanese. Unendo il laterizio rosso, il cemento, i mosaici dorati e il ferro battuto, Casa Berri Meregalli si presenta non solo come un insieme di materiali, ma anche di stili che rimandano all'arte neoromanica e neogotica, secondo il gusto storicista dell'epoca. Il bugnato del piano terra, i balconi del primo piano e i balconcini dell'ultimo, l'uso dell'arco a tutto sesto, le trifore, le bow-windows ne fanno un articolatissimo edificio. Nella decorazione il tema vegetale è accantonato per lasciare spazio a quello animale (teste di rane, arieti, gufi, leoni), mentre nella parte alta tornano i putti aggrappati ai pluviali, ricorrenti nel gusto liberty. Se l'aspetto esteriore è in qualche modo quello di un arcano palazzo-castello, nell'atrio d'ingresso, quasi come un'apparizione fantasmatica, ci s'imbatte nella “Vittoria” di Adolfo Wildt (1919), realizzata non secondo i canoni tradizionali della donna alata trionfante, ma come una testa levigatissima e dalle linee essenziali che si protende dal nulla verso di noi con la bocca aperta ed un'espressione di dolore. Siamo appena all'indomani del primo conflitto mondiale, la “joie de vivre” d'inizio secolo è ormai per molti un lontano ricordo e questo sordo grido di dolore emesso da una figura quasi immateriale sembra esprimere con amarezza la vittoria acquistata col sangue e con la morte.

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