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di Stefano Pariani

Santa Maria - ParianiLa storia di Milano – le pagine di Ok Arte lo hanno evidenziato in varie occasioni - è anche storia di edifici e monumenti che hanno affrontato nel corso dei secoli vicende alterne, abbandoni, talvolta frutto di incuria dei beni artistici, talvolta semplicemente del corso degli eventi. Santa Maria della Pace (via San Barnaba 40) rientra nel novero delle chiese dal glorioso passato, che oggi vivono silenziosamente in disparte i nostri giorni dove tutto si avvicenda con rapidità.

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La sua origine affonda le radici nel Quattrocento, all'epoca degli Sforza, quando Bianca Maria e il figlio Galeazzo Maria ne vollero la costruzione, affidando i lavori a Guiniforte Solari nel 1476. Il Solari, appartenente alla grande famiglia di architetti e scultori che diede una notevole impronta all'arte lombarda nel XV secolo nel solco della tradizione locale, aveva lavorato, tra le altre cose, al cantiere del Duomo di Milano, della Certosa di Pavia e fu autore di San Pietro in Gessate a Milano, non lontano dalla nostra chiesa.

Tale committenza e la presenza di notevoli artisti che si sono avvicendati nella sua decorazione, non hanno tuttavia salvato la chiesa dalla sorte a cui è andata incontro: come altri edifici religiosi, in epoca napoleonica fu sconsacrata (1805) e divenne prima magazzino militare, poi ospedale e infine scuderia e maneggio. Nel 1900 i nobili fratelli Bagatti-Valsecchi restaurarono la chiesa e la trasformarono in auditorio: nasceva così il Salone Perosi, che, come testimoniano fonti dell'epoca, fu frequentatissimo dalla società milanese. Non durò a lungo, perchè nel 1906 l'edificio fu restaurato e riconsacrato ad opera delle suore di Santa Maria Riparatrice. In anni più recenti, nel 1967, lo stabile è passato nelle mani dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che tutt'oggi lo utilizza per le proprie funzioni, concedendo la visita al pubblico un giorno al mese.

All'esterno la facciata a capanna si presenta in sobrio stile gotico lombardo, a mattoni scoperti, con due slanciati finestroni ogivali laterali che fiancheggiano il portale d'ingresso ed al centro un'apertura circolare sovrastante. Le finestre circolari si ripetono anche lungo i fianchi dell'edificio. Il campanile cinquecentesco, a pianta quadrata, presenta aperture a bifora su ogni lato della zona campanaria.

L'interno è a navata unica, ampia, ed ha il soffitto ripartito in volte a crociera, affrescato dai soli radianti con all'interno le scritte “PAX” e “IHS”, monogramma bernardiniano. Ben poco resta della decorazione che in passato decorava la chiesa e, come spesso accade, tracciare la storia di un edificio di culto significa fare i conti con le opere disperse, distrutte o, nel migliore dei casi, ricollocate altrove. Attualmente nella quinta cappella di sinistra è ancora conservata una tela del XVI secolo, di chiaro intento devozionale, raffigurante la Vergine in atto di preghiera di fronte al Bambino: il dipinto, che non spicca per particolari doti artistiche del suo ignoto esecutore, è tuttavia pregevole per la preziosità della veste della Madonna, trapuntata d'oro e con la scritta, pure in oro, “Pax”, richiamo ai soli affrescati sulle volte, cui pure rimanda la brillante mandorla a raggera entro cui è disposto il Bambino.

Ma tanti furono i nomi degli artisti che fra Cinquecento e Seicento si avvicendarono nella decorazione della chiesa; le fonti antiche parlano di Bernardino Luini, Marco d'Oggiono, Gaudenzio Ferrari, Camillo Procaccini, Cerano e altri ancora. Pittori di grande fama, che ancor più ribadiscono l'importanza di cui Santa Maria della Pace dovette godere in quegli anni. Restano in loco, sulla volta absidale, tre affreschi di Tanzio da Varallo, che facevano parte di un ciclo databile tra il 1630 e il 1633: l'“Annunciazione ai pastori”, l'”Adorazione dei pastori” e, al centro, “Angeli in volo”.

Ma i cicli a fresco che decoravano le cappelle laterali erano molti altri; alcuni sono stati staccati nell'Ottocento e ricollocati altrove. E' il caso della cappella di San Giuseppe, affrescata da Bernardino Luini tra il 1516 e il 1520 con le “Storie della vita della Vergine e di San Giuseppe”, fedelmente ricostruita agli inizi del '900 nella Pinacoteca di Brera sulla base di antichi disegni. Tra questi merita particolare attenzione il bellissimo “Sogno di San Giuseppe”, dove la lezione leonardesca è chiaramente visibile nelle fattezze dei personaggi, unita ad un realismo tipicamente lombardo.

La vicina cappella della Natività della Vergine ha subito la stessa sorte: le “Storie della vita di Maria” di Gaudenzio Ferrari, databili attorno al 1540, furono anch'esse staccate e riportate su tela e oggi sono conservate a Brera. L'”Annuncio a Sant'Anna”, dall'ariosa narrazione, e l'”Adorazione dei pastori” sono alcuni dei brani più riusciti del ciclo e importanti per lo sviluppo del Manierismo lombardo.

Se si intende fare una visita alla Pinacoteca Braidense per “recuperare” questi affreschi, con una passeggiata fino ai vicini musei del Castello Sforzesco si potrà vedere in una delle ultime sale l'elegante monumento funebre del vescovo Bagaroto dello scultore Andrea Fusina (1519), altro tassello originariamente in Santa Maria della Pace. L'arca è retta da eleganti candelabre e decorata con fogliame e putti, di gusto classicheggiante; sopra di essa il giaciglio dove riposa il defunto.

Studiare il passato è andare alla ricerca dei pezzi di un vasto e colorato mosaico, come quello di molti edifici chiesastici, e metterli insieme. Significa anche “scomodarsi” e la chiesa della Pace spinge chi vuole conoscerla davvero a spostarsi sul territorio della città (e non solo) per recuperare il “tempo perduto”. Ne vale la pena, perchè induce a muoversi e a comprendere, se ce ne fosse bisogno, che il passato non si accontenta di un semplice “click” su uno dei nostri comodissimi tablet.

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Rikke Laursen

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