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Chiesa di san Giovanni in Conca. Quel che resta del “gioiello dei Visconti

di Stefano Pariani

galleria fotografica Ci sono vicende strane o perlomeno curiose che spesso segnano una città e la sua storia passata. Certamente lo è quella di san Giovanni in Conca a Milano, chiesa di antichissime origini che visse un periodo di splendore sotto i Visconti e che per varie ragioni fu più Giovanni in Conca Milanovolte rimaneggiata, dimenticata e infine smantellata. Quel che resta oggi è un desolato rudere della parte absidale in Piazza Missori che quasi funge da spartitraffico, realizzato in cotto e con due snelle monofore, una delle quali elegantemente strombata.

Il piano urbanistico postunitario nell'Ottocento non ebbe pietà di questa chiesa, demolendo gran parte del corpo longitudinale per far spazio ad un nuovo asse viario: la facciata venne praticamente addossata all'abside, come alcune foto d'epoca mostrano ancora, dando origine ad una curiosa chiesa “accorciata”. Nel 1949 arrivò la distruzione definitiva della chiesa per il prolungamento di Via Larga; a salvarsi furono la facciata, staccata e ricollocata al tempio valdese di Via Francesco Sforza, e la cripta, unico spazio miracolosamente integro ancora in loco. Sorta nel V secolo all'interno delle mura cittadine, sul luogo di una domus romana, la chiesa era ad aula unica absidata ed era probabilmente costruita su una leggera depressione del terreno, da cui deriverebbe la sua denominazione “ad concham”.

Successivamente rimaneggiata in epoca romanica, subì l'invasione del Barbarossa nel 1162 e venne restaurata nel secolo successivo, assumendo un aspetto a tre navate. E' a questo periodo che risale la facciata, attualmente frutto di rifacimenti neogotici ottocenteschi che l'hanno riportata al suo assetto originario, dopo alcuni interventi cinquecenteschi. Scandita in tre parti, la facciata di tipo “a capanna” presenta la parte centrale in marmo chiaro, mentre le due laterali in cotto. L'uso del marmo, che anni dopo avrebbe caratterizzato la costruzione del Duomo, era indubbiamente segno di un certo prestigio e l'alternanza cotto ­ marmo creava (e lo fa ancora) un suggestivo effetto coloristico.

Un ampio rosone traforato in marmo bianco sovrasta il portale centrale ad arco a tutto sesto con lunetta e strombature a colonnina; sopra di esso una nicchia, ora chiusa, ospitava una scultura. Ai lati si aprono due oculi simmetrici sopra i quali sono due finestre a monofora. Fu nel Trecento che la chiesa san Giovanni in Conca conobbe il suo periodo migliore, quando i Visconti la scelsero come cappella gentilizia, arricchendola di affreschi e sculture. Difficile immaginare come fossero con esattezza le pareti affrescate e l'effetto dei monumenti funebri all'interno della chiesa, ma possiamo almeno farci un'idea ricostruendo i rimanenti “pezzi” di una sorta di puzzle, facendo una visita al Museo d'Arte Antica del Castello Sforzesco.

Qui sono conservati alcuni affreschi staccati, come l'”Annunciazione”, risalente al XIII­XIV secolo, che un tempo decorava i pennacchi dell'arco del tiburio: l'Angelo annunciante, dai colori delicatissimi dell'abito e della veste, indica la Vergine, rivolgendo a lei lo sguardo con fermezza, mentre questa, avvolta da un manto rosso, reclina il volto e chiude timorosamente gli occhi. Le “Storie di san Giovanni Evangelista”, sempre al Castello in cinque frammenti che mostrano figure intere isolate o a piccoli gruppi, furono commissionate da Bernabò Visconti e vanno ricondotte alla seconda metà del Trecento: risentono dello stile giottesco e sono una preziosa testimonianza del passaggio a Milano del grande maestro toscano.

Ma la testimonianza più importante di questo periodo gotico è senza dubbio il celebre monumento funebre di Bernabò Visconti realizzato da Bonino da Campione (1360­85) e collocato in origine nella parte absidale della chiesa, proprio sopra alla cripta. Anche quest'opera è oggi conservata al Castello Sforzesco, visibile in tutta la monumentalità del gruppo equestre, che raffigura Bernabò a cavallo in postura eretta, avvolto nella sua armatura, e con volto scoperto, lo sguardo rivolto al suo orizzonte: una rappresentazione del potere del Visconti e della solidità del suo governo. I fianchi del sarcofago sottostante sono interamente scolpiti con figure dal vivo senso naturalistico, debitori in qualche modo dell'arte di Balduccio da Pisa, tra cui spicca un “Cristo in Pietà” affiancato da una teoria di Santi ed una “Crocefissione”.

Per visitare la cripta, invece, basta scendere sotto i resti di piazza Missori: si apre così una sorta di mondo sotterraneo e silenzioso, impermeabile al passare del tempo, un po' come la cripta della vicina Chiesa di San Sepolcro, recentemente riaperta. Semplice e scandita da una serie di basse colonne che creano sette navatelle con copertura a crociera, la cripta nelle sue forme attuali risale ai secoli XI­XII. Al suo interno sono conservati resti di capitelli romanici decorati con mostri tipici della fantasia medievale e due frammenti di sarcofagi paleocristiani: un busto maschile di nudità eroica, dal vigoroso modellato classico, ed un uomo togato con la veste dal fitto panneggio. Tornando in superficie, la monofora strombata dei resti dell'abside sembra quasi invitare chiunque le si avvicini a guardare attraverso di essa, immaginando con un po' di nostalgia una città lontana e diversa, più ricca di monumenti e testimonianze artistiche, di cui le circostanze storiche e i piani urbanistici non hanno sempre avuto molto riguardo.

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Rikke Laursen

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