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Un viaggio tra sacro e profano tra gli affreschi appena scoperti nella chiesa di San Michele a Pavia

Stefano Pariani san michelegalleria fotografica

I pavesi la chiamano “la chiesa di polenta”, perché l'arenaria color ocra con cui fu costruita la facciata è una pietra molto fragile e nel corso dei secoli si è facilmente deteriorata, levigata dallo scorrere del tempo, dalle intemperie e dalla nebbia, facendo somigliare l'edificio ad una costruzione di farina gialla. La chiesa di San Michele è uno dei più grandi esempi di Romanico lombardo e si erge in tutta la sua maestosa imponenza in una silenziosa piazzetta nel cuore di Pavia, lontano dal rumore cittadino della vicina Strada Nuova.

 

Di fondazione longobarda, la chiesa fu eretta sull'area di un precedente edificio pagano e divenne sede delle incoronazioni di diversi re italici ed imperatori, come Berengario I (888), Arduino d'Ivrea (1002) e Federico Barbarossa (1155). Fu ricostruita tra l'XI e il XII secolo con una bellissima facciata a capanna tripartita da alte e snelle lesene e arricchita da una loggia con sottili colonnine che corre lungo la parte superiore e da poche aperture a monofora e bifora che alleggeriscono la monumentalità dell'edificio.Tre portali strombati danno adito alle corrispondenti tre navate interne.

Nelle loro lunette si ergono angeli togati con lunghe ali spiegate, mentre soggetti decisamente profani, come scene di caccia, di mestieri, ma anche draghi, grifoni, diavoli ed altri suggestivi mostri della fantasia medievale, adornano capitelli, colonne e diverse parti della facciata. Elegantissimi girali vegetali e motivi ad intreccio completano la composita decorazione esterna. Tra i bassorilievi più interessanti e leggibili l'”Annunciazione”, “Adamo ed Eva e il serpente tentatore” e “San Michele che uccide il drago”. Sono molti i capitelli scolpiti all'esterno e all'interno della chiesa, alcuni dei quali particolarmente misteriosi: ci limitiamo ad osservarne uno decorato con sedici volti di diversa fisionomia, forse anime in attesa del giudizio divino, ed un altro con una curiosa sirena dalla doppia coda, figura ricorrente nella decorazione di San Michele. Nella simbologia cristiana la sirena rappresenta la tentazione, mentre a livello esoterico sta a significare, con la sua natura terrestre e acquatica, la duplicità delle cose. Anche all'interno si trova un capitello simile, ma questa volta decorato con un “sireno”, dotato di seni, ma anche di volto e barba maschili.

Lo spazio interno, ampio e verticalmente accentuato, è illuminato dalla fioca luce che filtra dalle piccole aperture della facciata e sembra rievocare in qualche modo l'atmosfera solenne delle antiche incoronazioni imperiali. Del resto l'occhio è subito attratto dall'affresco del catino absidale, che raffigura proprio un'incoronazione, quella spiritualissima della Vergine da parte di Cristo, seduti su un elaborato trono, dipinto alla fine Quattrocento da Agostino da Montebello.

Non tutto è integralmente conservato in San Michele: qua e là si intravedono piccoli brani di affreschi tre-quattrocenteschi e parti di bassorilievi, che un tempo dovevano arricchire le pareti della chiesa; troppo poco resta oggi, purtroppo, per poter tracciare un quadro esaustivo di ciò che doveva essere.

Un piccolo presepe ligneo, parte di un'opera che in origine doveva essere più articolata, si trova nel transetto destro: scolpito da Baldino da Surso nel 1473, restituisce tutta la serena intimità della scena, la dolcezza del volto di Maria, anche attraverso colori caldi e perfettamente conservati.

Nella parte sinistra del transetto è invece conservato un magnifico Crocefisso del X secolo in lamina d'argento, di grandi dimensioni, proveniente dal monastero di Teodote, soppresso nel Settecento, dove da secoli era venerato. La figura snella di Cristo si estende lungo tutta la superficie della croce e il volto, incorniciato da abbondanti capelli dorati separati sulla fronte e da una “fluida” e raffinatissima barba, è leggermente inclinato e guarda davanti a sé. Senza traccia di corona di spine e ferite di chiodi, gli occhi aperti, il modello del Crocefisso è quello del Christus triumphans, che vince sopra la morte.

E' tuttavia un mosaico pavimentale della fine del XII secolo, situato nella zona presbiteriale, che aggiunge mistero a questa chiesa, legando strettamente il sacro col profano. Si tratta di un grande labirinto, generalmente simbolo della difficile ricerca dell’uomo e del suo percorso attraverso i misteri della vita, la cui presenza si collega anche al transito tra il mondo materiale e altri mondi. Quel che oggi vediamo è un'opera “tagliata” a metà, resa tale dallo spostamento nel Cinquecento dell'altare trecentesco in marmo, tuttora in loco. Un disegno originale conservato alla Biblioteca Vaticana, tuttavia, restituisce quella che doveva essere l'opera nella sua integrità.

Ci troviamo di fronte ad un calendario liturgico, nella cui parte superiore i personaggi, vestiti con semplici tuniche ed inseriti entro una serie di archi con colonne, rappresentano i vari mesi, affaccendati nei mestieri legati all'agricoltura. Al centro, seduto su di un trono ed in posizione rigidamente frontale, siede l'anno, che ha le fattezze di un Imperatore con scettro e globo in mano, richiamo a Cristo re del mondo. Al di sotto di questi un grande labirinto, al centro del quale doveva trovarsi, oggi non più visibile, Minosse che uccide il minotauro: in chiave cristiana rappresenta Cristo che sconfigge il male. Restano in parte ancora un mistero le figure poste ai quattro lati del labirinto: animali che domano animali di altre specie.

E' invece recentissimo il rinvenimento di affreschi su di una volta della navata sinistra, che raffigurano nelle quattro vele putti circondati da eleganti intrecci vegetali, portati alla luce da lavori condotti pochi mesi fa. Al centro uno scudo gentilizio di ignota appartenenza. La volta era stata ricoperta da intonaco attorno al 1870 e in anni recenti, in seguito al suo deterioramento, si erano intraviste tracce di pittura sottostante che hanno portato ai lavori di restauro. Cosa ci faccia un soggetto profano e decorativo in una chiesa è cosa ancora da chiarire, visto che tali raffigurazioni, d'ispirazione classica, erano spesso legate a ville ed edifici privati del XVI e XVII secolo, periodo a cui devono appartenere i nostri, così come è da definire a quale famiglia appartenga lo stemma. Il capolavoro architettonico dell'architettura Romanica ha dunque in sé molteplici interrogativi e motivi di mistero: l'augurio è che i ritrovati affreschi riportino la luce su San Michele, promuovendo studi ed altri interventi di conservazione e restauro.

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