Nei giorni d'estate come questi, trovare una piccola oasi di riposo nel caos e nella calura cittadina pare quasi una benedizione. Milano, è cosa risaputa, spesso nasconde meraviglie all'interno di cortili o in angoli poco visibili ai più: rientrano in questa “categoria di nicchia” i giardini della Guastalla, affacciati su via Francesco Sforza, di fronte all'Università Statale e compresi tra l'Ospedale Maggiore e Palazzo Sormani.
Il parco meno esteso della città, ma uno dei più antichi, affonda le sue radici nel Cinquecento, quando Paola Lodovica Torelli, Contessa di Guastalla (Reggio Emilia), dopo una prematura vedovanza e una serie di disgrazie famigliari, vende il suo feudo ai Gonzaga per una cifra considerevole e si trasferisce a Milano. E' il 1539 e Lodovica, avvicinatasi da tempo alla religione, si prodiga attivamente in opere di beneficienza nella città lombarda, dove già qualche anno prima aveva promosso la costruzione di edifici per ex-prostitute e per religiose non legate alla regola di clausura, le Angeliche.
Nel 1557 fonda il Collegio delle Guastalline per l'educazione di fanciulle nobili ma decadute, che senza altri mezzi sarebbero finite sulla strada o sarebbero incappate in matrimoni di convenienza. Qui le giovani avrebbero potuto trovare un luogo per la loro educazione, istruzione e, raggiunti i 21 anni, per avere una dote che sarebbe servita per il matrimonio o per intraprendere liberamente la vita religiosa.
La Contessa, risoluta nelle sue decisioni tanto quanto nel trattare con le più alte personalità dell'epoca, muore nel 1569 e tale è l'impronta che ha lasciato a Milano che la città le ha dedicato via della Guastalla, l’omonima piazzetta, via della Signora e i più pittoreschi giardini cittadini, i “Giardini della Guastalla”. Essi sono voluti proprio da Lodovica per il suo collegio, concepiti come giardini all'italiana dalla geometria e simmetria perfette, con tanto di laghetto con pesci, alimentato dall'acqua del Naviglio che scorre proprio lì accanto, nell'attuale via Francesco Sforza.
Le attività del Collegio proseguono dopo la morte della sua fondatrice, mentre il giardino cambia col tempo la sua fisionomia. Nel 1937 il Comune di Milano acquista l'intera area ed espropria il palazzo del Collegio, che viene trasferito a Monza, dove tuttora ha sede, mentre il giardino, grazie ad una nuova recinzione, può essere visto da tutti dall'esterno.
Quello che ammiriamo oggi è un giardino con circa 180 alberi, tra cui secolari aceri, ippocastani, carpini e faggi “monumentali”, quasi delle sculture in legno, immersi in un contesto davvero piacevole. Anzitutto ad accogliere chi entra da via Francesco Sforza c'è una peschiera barocca seicentesca, circondata da un'elegante balaustra perimetrale in granito bianco, che sostituisce il laghetto originario, sotterrato per motivi igienici. Circondata da fiori, la vasca è ancora abitata da vivaci pesci rossi.
Altri elementi architettonici sono l'edicola della Maddalena e il tempietto neoclassico. L'edicola, seicentesca come la peschiera, ospita al suo interno una finta grotta con un gruppo in terracotta policroma che rappresenta la Maddalena assistita da angeli dai panneggi svolazzanti, evidentemente un richiamo alla vita virtuosa per le fanciulle del collegio, come quella della Maddalena, ritiratasi a vivere nel deserto una vita ascetica dopo la morte di Gesù. Il tempietto è invece opera più tarda dell'architetto neoclassico Luigi Cagnola, ha forme semplici e pure, e dietro le sue colonne ioniche è ospitata la statua di una ninfa, oggi purtroppo acefala e qua e là sfregiata. Il tutto conferisce un senso di sacralità e di serenità fuori dal flusso del tempo.
La Contessa diceva: «Le fanciulle sono come le viti novelle, che se si appoggiano a pali ritti crescono ritte, se a torti, vengono torte e difettose». Per questo motivo anche il giardino, col suo equilibrio e la sua simmetria, contribuiva all'educazione delle giovani. Un fascino che ha attraversato i secoli, se ancora oggi questo angolo della città vede visitatori e semplici passanti trascorrere momenti di relax e di stacco dal daffare di tutti i giorni.